Iniziamo a raccontare anche di luoghi e viaggi partendo dalla Valtellina. Nulla di inesplorato, ci veniamo varie volte l’anno perché è la terra d’origine della madre di mia moglie. Suocera che non ho mai conosciuto, essendo mancata nel 1992 mentre io ho conosciuto mia moglie nel 2006. È una terra di confine, con la Svizzera, da sempre più ricca, dove molti valligiani vanno per lavoro, e spesso, soprattutto negli anni passati, son rimasti.

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In molti sono invece in America, e almeno altrettanti in Australia, terra che è stata raggiunta da tanti figli di Valtellina, compreso uno zio di mia moglie. Luigi, classe 1924, che da Villa di Tirano è partito nel 1953, per sbarcare a Perth, combattere per sopravvivere all’inizio, e poi trovare una vita migliore di quella che forse avrebbe avuto restando a casa. Successivamente poté tornare a visitare i parenti ogni decina d’anni fino al 1991, quando, ormai intento a vendere i suoi beni australiani per stabilirsi definitivamente a Villa per la pensione è rimasto coinvolto in un incidente stradale e ha finito i suoi giorni in Western Australia.

In Svizzera invece ha vissuto un bianzonese coraggioso e indomito, che garzone fruttivendolo nel negozio del padre che si era trasferito a St. Moritz per meglio guadagnare coi suoi ortaggi ed evitare ai figli la partenza per il fronte nella seconda guerra mondiale, iniziò a lanciarsi con uno skeleton dalla famosa pista del Cresta Run. Era talmente bravo che finì col regalare all’Italia il primo oro olimpico invernale di sempre, proprio a St.Moritz nel 1948, reclutato dai dirigenti del Coni alla ricerca di atleti che potessero permettere all’Italia reduce dal disastro della guerra di schierare una squadra dignitosa ai giochi.

Nino andò oltre, strabattendo i grandi specialisti britannici e statunitensi nelle sei discese della gara. Continuò a gareggiare fino a cinquant’anni, vinse mondiali e centinaia di fare, scomparve più che novantenne dopo aver ricevuto un omaggio alla sua leggenda alle Olimpiadi di Torino 2006. Un figlio dimenticato dalla sua Valtellina. Nessuno ne parla, nessuno lo ricorda, nemmeno a Bianzone, suo paese natale.

Oggi in Valtellina si punta molto sul turismo: Bormio, Aprica, Livigno, Santa Caterina, sono rinomate località per gli sport invernali, sedi di gare di Coppa del Mondo. Bormio e Livigno possibili sedi olimpiche se la rassegna 2026 sarà assegnata dal CIO a Milano-Cortina. Per la valle vorrebbe dire molto.

Valtellina significa anche vino, prodotto da secoli ma recentemente valorizzato e lanciato sui mercati migliori, che nasce dall’uva chiavennasca, il nome locale del Nebbiolo. Mele, produzione molto più recente ma che sta prendendo sempre più piede, e naturalmente bresaola, che riesce come deve solo qui, e formaggi.

Girando per i paesi meno turistici, la mattina, nelle mezze stagioni, si respira un atmosfera piuttosto lenta, laboriosa ma non frenetica. Molti sono ancora i piccoli negozi che vendono un po’ di tutto, dai giornali al pane ai salumi, e se si vuol trovare il tipico pane nero di segale fatto a ciambella bisogna arrivare presto altrimenti finisce.

Salendo in montagna in estate e girando per le baite si incontrano ancora le signore che salvaguardano la tradizione della polenta, che insieme a quella dei pizzoccheri, degli Sciatt, frittelle croccanti con cuore di formaggio fuso, e tanti altri piatti del territorio.

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Immagini e momenti che non sono diversi da quelli di molti e molti anni fa, quando quelle zone erano ben più attive, e i prati, ora diventati in gran parte bosco, pascoli pieni di bestiame, colore e vecchi lavori.
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