Trecase e Boscotrecase sono due paesi della città metropolitana di Napoli che quando ci arrivi da forestiero per la prima volta, ma anche nelle successive, si intersecano e confondono tra loro non permettendoti di capire dove ti trovi. In realtà fino al 1980 erano un unico comune, poi separato nei due nuclei, con la frazione Trecase che è assurta al rango di municipio. Normalmente è il contrario, è il Bosco ad essere la frazione del paese con lo stesso nome, qui funzionava diversamente.
Boscotrecase e Trecase sono anche tra i comuni facenti parte del Parco del Vesuvio, si affacciano dalla collina sul Golfo di Napoli e sono in una posizione strategica rispetto al bello. Da qui in un attimo sei agli scavi di Pompei, di Ercolano, a Oplonti, alla Villa dei Misteri. In poco tempo in più raggiungi Napoli o Sorrento, Caserta e la sua Reggia non sono lontane e nemmeno i traghetti per Capri e Ischia. Da qui partono le escursioni verso il Vesuvio. Ecco, Trecase e Boscotrecase sono anche accucciati alle pendici del drago. Il drago è il vulcano, quel Vesuvio che è silente dal 1944, ma che nessuno sa se così resterà e per quanto. Le esistenze di chi vive qui scorrono giorno dopo giorno con l’ingombrante presenza che le accompagna.
Il centro di Bosco fu toccato e pesantemente dalla penultima eruzione, quella del 1906, quando la lava invase la piazza del paese e arrivò a lambire la chiesa di Sant’Anna, fermandosi appena prima di distruggerla. Passeggiando per la piazza lapidi e iscrizioni ancora ricordano quei giorni, insieme alle manifestazioni di devozione per la Santa, che, dicono qui, fermò il fuoco alla sua porta.
Sono arrivato qui per la prima volta nel 2014, per tornarci nel 2016, sempre per pochi giorni durante i tour in auto per l’Italia che di solito una volta l’anno faccio con mia moglie e la nostra bambina, autistica ma grande viaggiatrice. Manco quindi da quasi tre anni e mi dispiace. E’ una terra che ti entra dentro. Una terra che scalda un po’, del resto c’è lui, il vulcano, anche un rigido lombardo come me. Con avi tutti da uno stesso comune sulle rive del Lago Maggiore da secoli, almeno fin quando si è potuti andare indietro con le registrazioni dell’anagrafe. Che ha scaldato anche mia moglie, piemontese del Mottarone, prealpe una volta ricca di pascoli, per parte di padre, e lombarda valtellinese da parte di madre, discendente diretta, del Tananai, colui che, nel Seicento, divenendo marito delle uniche tre donne rimaste ripopolò con gran sforzo di lombi Villa di Tirano dove tutti gli altri erano morti di peste.
Abbiamo prenotato per caso. Avevamo in programma tre giorni in Puglia, vicino a Taranto, e poi quattro a Tivoli, e volevamo fare una tappa in mezzo, per andare anche a Pompei. E dunque vagando per Booking trovammo posto per tre giorni in un B&B di Trecase che pareva carino. Per la particolare condizione della nostra Maria tendiamo ad evitare gli alberghi preferendo sistemazioni che danno un po’ più di autonomia.
All’arrivo naturalmente ci siamo persi anche noi, tra le strade uguali, e abbastanza prive di segnaletica dei due paesi, fino a fermarci nel piazzale di un piccolo supermercato. E’ bastata una telefonata per vedere spuntare nel giro di pochi minuti Ciro, che subito ci ha spiegato che eravamo a cento metri dalla meta e ci ha accompagnati nel Giardino di Villa Anna, il suo, e per tre giorni nostro B&B. Dico così perché Ciro e la sua gentilissima consorte hanno la capacità di farti sentire da subito nella tua casa, nel tuo giardino. Arrivi ed è come ci fossi sempre stato in quell’angolo di Trecase che lambisce e si interseca, come tutto ti sembra faccia qui, a Boscotrecase.
Te ne stai lì, la sera, dopo aver mangiato un calzone farcito che ricorderò per sempre, sulla terrazza e vedi il Golfo e le sue luci, i tetti di Torre Annunziata e le colline intorno. Mentre lui, il drago, non lo vedi ma senti che c’è. E partono fuochi artificiali da ogni angolo, al punto da farci chiedere che festa fosse. E sentirci spiegare, noi freddi discendenti del Tananai, che lì è normale, che non c’è bisogno di una data canonica per sparare i fuochi, basta un matrimonio, una comunione, un anniversario, un compleanno, un motivo qualunque per mostrare gioia di vivere, pur in mezzo alle tante difficoltà che chi vive lì incrocia tutti i giorni sul suo cammino. Forse, mi vien da pensare, anche un modo per esorcizzare il drago, per divertirlo e continuare a farlo star buono.

La magia non mutò quando tornammo nel 2016. Durante il giorno ovviamente girammo, un anno Pompei e Sorrento, un altro la Reggia di Caserta, con un salto per pranzo ad assaggiare la cucina di Rosanna Marziale a Le Colonne e tanto altro. La sera sempre la terrazza della camera, le luci, i fuochi e probabilmente un pezzo di cuore che resta lì, come credo di averne lasciati quasi in tutti i posti dove sono stato. E non sono pochi, per scoprirli seguitemi per Le Vie del Mondo come si chiama questa modesta rubrica. Solo che probabilmente qui ne ho lasciato un pezzo un po’ più grande.