Scrivo queste righe, di cui importerà ben poco al resto del mondo, perché proprio in questi giorni, trent’anni fa, il 5 ottobre 1991 per essere esatti, iniziava un campionato di basket, la Serie B femminile girone A, che fu fondamentale nel mio percorso di giornalista, di dirigente sportivo e direi anche di vita. Di quel singolo torneo ho già parlato diffusamente due anni fa nel mio libro “L’ultimo supplementare” in cui raccontavo le vicende della Pallacanestro Gavirate in occasione del cinquantesimo di fondazione.

Oggi, così tanti anni dopo, e ben ventisei anni dopo che ho smesso del tutto di occuparmi di basket, vorrei tornare un po’ alle origini, ai ricordi. Essendo nato, nel lontano 1965, e vivendo, a una ventina di chilometri da Varese credo di aver sentito parlare di pallacanestro già da neonato. La mia non era una famiglia sportiva, dello sport, che poi sostanzialmente è stata la mia ragione di vita anche se non da atleta visto che sono sempre stato scarsissimo, né a mio padre né a mia madre importava nulla, erano lombardi concreti dediti al lavoro, alla famiglia, e, soprattutto papà, alla Parrocchia. Solo mio nonno Atlante che persi quando avevo 9 anni, anzi concretamente non potette più essermi vicino da almeno un anno prima per via del tumore e dell’arteriosclerosi, era un grande appassionato. Fu lui a “rovinarmi” ( secondo i miei genitori non dovevo perdermi in cose inutili ma pensare alla scuola, allo studio e a una successiva importante carriera lavorativa) quando avevo 7 anni facendomi assistere, e spiegandomi passo passo le varie discipline, alle Olimpiadi di Monaco del 1972. Al basket però mi ci portò mia madre. Più o meno negli stessi anni: una collega di lavoro le aveva prestato, allora si poteva, due abbonamenti perché lei e il marito erano forse a un matrimonio o in viaggio. Essere andati almeno una volta a vedere la pallacanestro allora a Varese era quasi un obbligo e dunque lei aveva accettato. Mi fecero entrare credo in sovrannumero, come si direbbe adesso, in quanto molto piccolo con i due abbonamenti usati dai miei e assistetti così, seduto sulla scala del Palasport di Masnago, capendo quello che riuscivo, nientemeno che a Ignis-Simmenthal, non ricordo esattamente la stagione ma ricordo che a Varese giocava già Bob Morse mentre nell’Olimpia c’era ancora Art Kenney e quindi credo proprio fosse questa partita del 18 aprile 1973.

Varese – Olimpia  90-79 (40-39)

Varese: Rusconi 5, Flaborea 6, Bartolucci, Zanatta 4, Morse 30, Ossola 5, Meneghin 4, Polzot 2, Lucarelli, Bisson 34.

Olimpia: Iellini 10, Brumatti 17, Vecchiato, Masini 8, Bariviera 17, Cerioni 7, Borlenghi, Bianchi 2, Giomo 2, Kenney 16.

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Non fu un amore immediato. Arrivò negli anni, prima davanti alla TV, successivamente al seguito di amici che militavano in Prima Divisione nel Laveno, poi da giovane dirigente di questa piccola società.  Finì che nel basket ho fatto tutto, tranne il giocatore, l’allenatore e l’arbitro. Anche se non è proprio vero. Non ho mai giocato in ambito federale, ma vanto un secondo posto nel torneo interclasse del Liceo Classico Cairoli stagione 1984/85 nella famosa palestra di via XXV aprile, detta “Dei Pompieri” dove la pallacanestro varesina è in sostanza nata. Certo lo ottenni da cambio dell’ultimo cambio, perché nonostante i miei 190 centimetri di statura ero assolutamente incapace, come del resto a calcio, scoordinato e terrorizzato dalla palla. Giocai poi nuovamente una partitella nel 1990, che ho così descritto nel libro cui accennavo sopra:

“…coach Colombo fece andare in campo un po’ tutti per una sorta di amichevole finale, me compreso! Io non ero assolutamente capace di giocare a pallacanestro ma accettai in pieno spirito post stagionale e così scesi sul parquet dell’ITC per questo match contro le ragazze. Più che altro corsi avanti e indietro per tutto il tempo in cui fui impiegato, almeno però allora ancora correvo. Capitò che Elsa Piva ala grande di ruolo, avesse deciso di segnare da 3 punti una volta nella vita, e che io mi trovassi in marcatura su di lei. Non ero ovviamente un grande ostacolo però sono alto un metro e novanta e ogni volta che lei si fermava sull’arco dei  3 punti per tirare le saltavo davanti, impedendole anche solo di provarci. Dopo qualche replay della situazione mi sibilò a denti stretti seccatissima un “e finiscila di saltare che voglio segnare da tre!” e mi toccò così difendere con le braccia dietro la schiena rinunciando all’unica arma che avevo!”

In realtà una volta anche arbitrai, Sempre in quel torneo del Classico Cairoli 84/85. Il professore aveva messo per regola che ogni classe doveva fornire almeno una volta nel corso dell’agone un arbitro e nessuno della mia IIIB voleva perdere un pomeriggio per farlo. Così ci andai io. Mi misero in coppia con un altro diciottenne che però già dirigeva partite a livello giovanile e lasciai fare a lui, fui in sostanza, schierato su un lato della palestra, il primo ed ultimo guardalinee della storia del basket. In tutto l’incontro ricordo che feci un unico fischio assegnando una rimessa laterale. Però fui contestato dalla squadra cui non l’avevo data e persi un altro record, quello di unico arbitro di basket a non essere mai stato accusato di aver sbagliato.

E per dirla proprio tutta una settimana anche allenai: ero dirigente accompagnatore  della Pallacanestro Laveno in Seconda Divisione e l’allenatore era via per lavoro. Condussi così due sedute, dove, d’accordo coi giocatori che erano più o meno miei coscritti e più di uno più anziani, di lavorare sul tiro per metà tempo e fare la partitella nel restante. Ebbene siete liberi di non crederci, ma sabato sera in campionato le percentuali salirono vertiginosamente sia dal campo che dalla lunetta!

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In forma ufficiale ho fatto il dirigente accompagnatore, lo scout, il refertista, il cronometrista, l’addetto stampa e il giornalista sulle colonne della Prealpina. Un referto l’ho fatto anche in Serie C, pur non avendo mai fatto il corso richiesto per i campionati nazionali. Ero andato a vedere una partita di Cristina Manenti che in quel periodo giocava a Gallarate. Si trattava della prima giornata della seconda fase, in cui si mischiavano i gironi, e se erano stati nominati gli arbitri nessuno si era ricordato di designare gli ufficiali di campo e così finii a compilare il referto, trasformando una serata tranquilla in una stressante, visto che dovetti ritrovare gli automatismi di un lavoro che non facevo da un po’ e che finì pure al supplementare!

Anche, diverse volte, feci l’accompagnatore dell’arbitro. Un amico e coscritto, Nino, che voleva fare il patentino da tecnico e dunque si ritrovava a dover dirigere un certo numero di partite. Non so se funzioni ancora così. Giravamo per le palestrine della provincia e lui fischiava in partite giovanili, mentre io stavo in tribuna e cercavo di dargli qualche consiglio, ormai ne sapevo molto di più rispetto ai tempi del Cairoli, durante l’intervallo. Una volta bussarono alla porta dello spogliatoio. Era un padre che chiese come mai era stato attribuito un fallo tecnico al figlio. Nino spiegò che aveva bestemmiato e l’uomo si complimentò e assicurò che avrebbe a sua volta rimproverato il ragazzo.

Poi nel 2019 grazie a  “L’Ultimo supplementare” sono diventato anche uno scrittore di basket. Se potessi fare una volta per qualche minuto lo speaker, ma ho una voce terribile, credo avrei chiuso il cerchio.

Gli anni più belli furono quelli di Gavirate, dal 1989 al 1992, ma ne ho già parlato parecchio nel libro, che purtroppo finirono con una grande delusione per via di una lite con l’allenatore. Non è il momento di tornare su quei fatti, io continuo a non credere di aver avuto torto, devo ammettere però di aver sempre avuto un pessimo carattere che a quell’epoca non era nemmeno un po’ ammorbidito da età ed esperienza.

Tornai nel 94/95 in Serie C femminile  al Valcuvia Basket, da dirigente accompagnatore. Ci salvammo all’ultima giornata ma non fui richiamato per la stagione successiva, ero stato voluto dall’allenatore che però era cambiato e il nuovo mi conosceva come un piantagrane. Fu la fine. Non volli più saperne nulla del basket. Da allora credo di aver visto forse venti partite intere in 26 anni, comprese quelle alla televisione, soprattutto americane. Da anni mi abbono a NBA TV ripromettendomi di seguire la stagione, ma da anni vedrò sì e no tre o quattro partite. Per questo 2021/22 e per la serie moglie e buoi dei paesi tuoi, ho provato con LNPPass, e con LBFTV. Del resto costa meno ed è nell’ambito del basket minore delle nostre zone che io mi sono sempre mosso. Seguire Fulgor Omegna – College Borgomanero, ci ho messo due giorni, un quarto alla volta,  con la telecronaca dell’amico Daniele Piovera mi ha fatto venire voglia di scrivere queste righe.